Pagadebit, il vino che non tradisce

Abbiamo già scritto di alcuni dei più importanti vini romagnoli: il Trebbiano, il Sangiovese e l’Albana. Oggi tratteremo di uno in particolare, il cui nome spiega già tutto: il Pagadebit. Questo vino fa parte

Uva Pagadebit.

della Doc Romagna e si ottiene dall’uva Bombino Bianco vinificata in purezza oppure con l’aggiunta di altri vitigni fino a un massimo del 15%. Il Bombino Bianco è uno dei vitigni più antichi che si trovano sulla nostra penisola, specialmente al Sud. La sua uva è una materia prima fondamentale in moltissimi prodotti di qualità eccellente come il San Severo Bianco frizzante, il Cacc’e mmitte, il Castel del Monte Bombino Bianco e il conosciutissimo Trebbiano d’Abruzzo. L’abbondante produttività e l’ottima qualità di questo vitigno hanno dato un enorme contributo alla sua diffusione. In Emilia – Romagna, appunto, ha “fornito la base” per il Pagadebit.

Le principali caratteristiche del Pagadebit

Le particolari caratteristiche fisiche che presentano i grappoli d’uva del Pagadebit, oltre alla foglia trilobata o penta lobata, sono la media grandezza e la forma a cono o a cilindro. L’acino è medio grande, rotondo e contenuto da una buccia spessa e consistente. Ha un colore giallo – verde con macchie marroni. Le caratteristiche principali del vino sono il colore giallo paglierino con un sapore ricco e gradevole con note di erbaceo e floreale. Completa il quadro un gusto limpido e particolarmente adatto ad accompagnare i tagli, utile sia per il consumo diretto ma anche per rinforzare altre tipologie di vini bianchi che sono troppo deboli. Presenta un odore delicato e molto gradevole, leggermente aromatico con sentori di biancospino. Il gusto è asciutto, armonico e fresco. Viene prodotto nelle tipologie secco e amabile, sia come vino fermo sia come vino frizzante.

Pagadebit, non tutti sanno che…

Foto di Torsten Detlaff da pexels.com.

Perché il Pagadebit si chiama così? Molto semplice: si tratta di un’uva estremamente resistente alle intemperie, alle gelate e agli eccessi della natura. I contadini romagnoli avevano l’abitudine di piantare viti di quest’uva in una parte dei loro possedimenti quasi fosse “un’assicurazione” sulla raccolta. Se per qualche motivo le uve di Albana, Sangiovese o Trebbiano non davano i frutti sperati, il Pagadebit non tradiva e, grazie alla sua vendita, i contadini potevano pagare i debiti della gestione della vigna e fare almeno pari tra entrate e uscite. Nonostante queste sue caratteristiche “salvifiche”, verso la metà degli anni ’60 questo vitigno era prossimo alla scomparsa, essendone rimasto un unico filare nei dintorni di Trentola, sulle pendici del colle di Bertinoro. Da allora, grazie ad una tecnica enologica capace di valorizzarlo e all’impegno di alcuni vignaioli, il Pagadebit ha ritrovato il suo posto nell’enologia romagnola, ottenendo nel 1988 anche la DOC (Denominazione di Origine Controllata).

Che piatti accompagna il Pagadebit?

Oggi il Pagadebit non ha più la storica funzione di “pagare i debiti”, ma si rivela un vino adatto a ogni occasione e all’abbinamento con numerosi piatti e ricette: antipasti con piadina e salumi; crostacei; frittate con verdure; primi piatti e anche alcune minestre in brodo. Il Pagadebit secco è un abbinamento leggero e piacevole per tutte queste pietanze. Il suo basso titolo alcolometrico (minimo 10,5% di alcol) e la sua freschezza, da esaltare mantenendo la temperatura di servizio intorno ai 10 gradi centigradi, lo rendono l’accompagnamento ideale per davvero tanti piatti diversi.