Nell’articolo che ha aperto questo blog dedicato al cibo e alla cucina emiliano-romagnoli,
abbiamo scritto della piada, emblema “nazionale” della Romagna. Oggi vogliamo parlare del cibo forse più rappresentativo della cucina emiliana, conosciutissimo anche all’estero: il tortellino. Perché diciamo “emiliano” e non bolognese o modenese, citando le due città che si disputano la primogenitura di questa bontà? Perché definire dove sia nato il tortellino è, dal punto di vista storico, molto difficile. Inoltre, a Modena si prepara in un modo e a Bologna in un altro.
Tortellino bolognese o modenese?
Nella città della Ghirlandina il ripieno è di lonza di maiale tagliata a cubetti e fatta saltare in padella per pochi minuti, prosciutto crudo di Modena, mortadella, parmigiano stagionato, una o due uova, noce moscata, pepe bianco e sale, il tutto macinato finemente nel tritacarne. Sotto le Due torri, il ripieno è di lombo di maiale marinato per due giorni con aglio, rosmarino sale e pepe, cotto successivamente in un tegame a fuoco lento con una noce di burro, cui si aggiungono prosciutto crudo, mortadella di Bologna, parmigiano, un uovo, noce moscata, il tutto poi tritato finemente con la battilarda. Il brodo modenese è di gallina preparato la mattina da consumarsi alla sera. Quello felsineo, invece, è di cappone e manzo e non deve mancare l’osso. Anche sulla “chiusura” del tortellino le due città la pensano diversamente: attorno all’indice a Modena; attorno al mignolo a Bologna. Solo sulla preparazione della sfoglia tutti sono d’accordo: va preparata esclusivamente a mano e tirata al mattarello per mantenere porosità ed elasticità.
Il tortellino nella storia
Neanche la storia ci aiuta a capire dove fosse nato questo benedetto tortellino. Una pergamena del 1112 già ne parla o, meglio, parla dei tortelli o tortelletti, loro antenati: “Tertia pars tortellorum monachorum est”. Ovvero: “La terza parte dei tortelli va data ai monaci”. Ma non sappiamo di quale città si stia parlando. Una bolla di papa Alessandro III, nel 1169, stabilisce che a una chiesa si dovessero assegnare “duas partes tortellorum” (due parti di tortelli). Altre citazioni a proposito di tortelli si susseguono nel corso dei secoli. E cominciano ad apparire le prime ricette. In uno scritto del Milletrecento si descrive la preparazione dei tortelletti di enula (una pianta erbacea) con l’aggiunta di formaggio, uova e lonza di maiale nell’impasto. Siamo ovviamente lontani dagli attuali tortellini ma va detto che nel corso dei secoli, la ricetta del ripieno è cambiata e si è evoluta secondo i mutamenti del gusto. Pensate che la ricetta di Pellegrino Artusi nel suo “La Scienza in Cucina e l’Arte del Mangiar Bene”, recita: “30 grammi di prosciutto crudo; 20 grammi di mortadella; 60 grammi di midollo di bue; 60 grammi di parmigiano; un uovo e odore di noce moscata. Con questa dose ne farete poco meno di trecento e ci vorrà una sfoglia con tre uova”. Siamo già nel 1891 ma, anche in questo caso, siamo lontani dalla ricetta attuale. Va poi detto che, al di là delle ricette “ufficiali”, ogni famiglia emiliana; ogni donna che ha a cuore la cucina regionale ha un suo piccolo “segreto”, vuoi per rendere la pasta più porosa, oppure il ripieno più saporito, o il brodo più succulento.
Il tortellino nella leggenda
A dare una patria al tortellino, “salomonicamente” a metà strada fra Modena e Bologna è la leggenda. Bellissima e tutta da raccontare. Nel 1614 il poeta modenese Alessandro Tassoni scrive un poema eroicomico: “La Secchia Rapita”. E’ ambientato nel Milleduecento e Tassoni immagina che i modenesi, all’inseguimento dei bolognesi in rotta dopo la battaglia di Zappolino (realmente avvenuta) si fermino accanto ad un pozzo per dissetare se stessi e i loro cavalli. Dal pozzo, rubano una secchia di legno e la portano a Modena quale trofeo di guerra. I bolognesi, ovviamente, la rivogliono indietro e, al rifiuto dei modenesi, dichiarano guerra. Vista l’importanza della questione, anche gli dei dell’Olimpo decidono di prendere parte alla disfida, quasi fosse una nuova guerra di Troia. Apollo e Minerva si schierano con Bologna; Marte, Venere e Bacco con Modena.
Il tortellino e la “Secchia Rapita”
Facciamo un salto in avanti. Nell’Ottocento il poeta, giornalista, politico bolognese
Giuseppe Ceri, riprende la storia degli dei scesi in guerra nella “Secchia Rapita” e, in un suo poemetto, racconta di come Venere avesse deciso di riposare in una locanda di Castelfranco Emilia, dopo una notte di fuoco in compagnia di Marte e Bacco. La mattina, la dea della bellezza chiama l’oste e gli chiede dove fossero finiti i suoi compagni di giochi notturni. Ascoltata la risposta del padrone di casa, Venere balza giù dal letto e, nel muoversi, la camicia da notte si scosta lasciando intravvedere le sue forme. In particolare, l’oste rimane colpito dall’ombelico. E cosa fa quest’uomo? Scende in cucina, prende un pezzo di pasta e riproduce le fattezze dell’ombelico di Venere: così nasce il tortellino.
Il tortellino e la bella marchesa
Una variante di questa leggenda, fa addirittura il nome della locanda di Castelfranco Emilia in questione: Corona. Secondo questa versione, una giovane e bella marchesa lì si fermò a riposare. Il locandiere, colpito dalla sua bellezza, dopo averla accompagnata in camera si fermò a spiarla dal buco della serratura. Anche in questo caso l’oste rimane colpito dall’ombelico e se ne va in cucina a riprodurne le fattezze. In ogni caso, sempre a Castelfranco siamo. Insomma, la leggenda fa nascere il tortellino in un paese sempre conteso fra Bologna e Modena, fin quasi all’epoca moderna.
Il tortellino, bontà leggendaria
Quindi, se incontrate qualcuno che vi dice che: “Il tortellino è nato a Bologna (o a Modena)”, lasciatelo parlare ma adesso sapete che la questione è ancora aperta; che ci sono differenze di vedute nel ripieno e nel brodo e che, se proprio vogliamo credere che sia nato in un posto preciso, è molto più divertente pensare che sia stato preparato per la prima volta a Castelfranco Emilia, ispirato alla bellezza dell’ombelico di una dea o di una nobildonna. Come da leggenda.