Dall’hotel Bing a Monte Colombo, cercando la “pagnotta di San Martino”

Vi ricordate l’itinerario di aprile che vi proponeva di arrivare fino al piccolo santuario di Carbognano? Ebbene,

Uno scorcio di Monte Colombo.

percorrendo la stessa strada fino a Osteria Nuova, sia che siate in bici o in auto, anziché girare a sinistra, girate a destra e prendete la salita (via Trebbio) che vi porta fino a Croce di Monte Colombo. Da lì, proseguite sulla strada provinciale 42 seguendo le indicazioni per Monte Colombo. In auto ci metterete non più di cinque minuti. In bicicletta almeno un quarto d’ora (ma dipende dal grado del vostro allenamento).

Monte Colombo e i Malatesta

Monte Colombo, pur diventando un castello fortificato attorno all’anno mille per difendere gli abitanti dalle periodiche invasioni barbariche, non ha mai rivestito un’importante rilevanza storica. Così, non ci trovate monumentali vestigia civili o religiose. Anche se durante il dominio dei Malatesta, nel Rinascimento, il territorio contava diverse fortificazioni: la rocca di Monte Colombo, che era la principale; la torre difensiva di Croce; la fortificazione di Ca’ Castellano, posta a valle del castello di Monte Colombo; una torre di avvistamento a monte di tale castello per sorvegliare la vicina Montescudo (oggi Montescudo e Monte Colombo formano un unico comune, a quei tempi, invece, vi erano rivalità territoriali).

L’antico lavatoio di Monte Colombo

Il castello malatestiano di Monte Colombo.

Tra le architetture civili, si può ricordare quella che è forse la più storica: l’antico lavatoio di Monte Colombo, una struttura medievale ristrutturata nel XVIII secolo. Costruito secondo il metodo architettonico dei trabocchi, in uso sin dal Medioevo, presenta vasche di altezza decrescente in cui scorre l’acqua, che poi si disperde nell’ambiente. È situato tra la Villa del castello, il Borgo e Ca’Mini. Già dal 1750 gli atti comunali lo citano come esistente “da tempo immemorabile”. Ha subito numerosi restauri, data l’importanza che rivestiva per l’approvvigionamento idrico, gli ultimi tra il 1904 e il 1949, quando venne introdotto in maniera diffusa l’acquedotto pubblico, che lo rese anacronistico.

Adiacente al lavatoio c’è via Acquabona, forse il reperto storico meglio conservato del comune. Di probabile origine medioevale, venne ricoperta da uno spesso manto di terra, e dimenticata. Analizzando il Catasto di Serafino Calindri, un famoso ingegnere idraulico del Settecento e quello pontificio, è stato possibile stimarne la sua posizione e riportarla alla luce.

Il palazzo del Municipio di Monte Colombo

Anche il palazzo del Municipio è quantomeno interessante. E’ uno dei più imponenti palazzi del centro storico, con un’ala risalente al XVIII secolo, ed il successivo ampliamento di epoca fascista. L’ala nuova, rivolta a ovest, era un tempo una chiesa, dedicata a Santa Maria della Neve; ospitò poi una scuola, quindi una casa privata, indi divenne l’ampliamento del Municipio, tra il 1920 e il 1935. La facciata ovest del palazzo (quella principale) è costruita in stile razionalista. Il Comune, che sino a tutto l’Ottocento possedeva e utilizzava solamente l’ala nord, entrò in possesso della frazione restante tra i primi anni del Novecento e la fine degli anni Cinquanta.

Monte Colombo e la pagnotta di San Martino

Anche se le vestigia storiche di Monte Colombo non sono paragonabili a quelle di molti altri borghi locali, però una cosa

La pagnotta di San Martino.

del tutto originale e “solo sua” Monte Colombo ce l’ha. Se vi recate in questo borgo nel periodo che va da metà ottobre all’11 novembre, ci trovate uno dei dolci più “misteriosi” dell’Emilia-Romagna e, forse, d’Italia: la “Pagnotta di San Martino” della quale parleremo, prima o poi, nel nostro blog. E’ tipica del periodo autunnale, ottenuta con ingredienti che le famiglie contadine potevano reperire solo al termine dell’annata agraria, cioè fra le festività dei morti e il giorno di San Martino. Ma, soprattutto, la preparavano e la preparano solo a Monte Colombo e in poche borgate vicine.

La ricetta che… non c’è

La sua ricetta è gelosamente custodita. Nel senso che le poche famiglie e i pochi fornai che la conoscono, la tramandano oralmente, di generazione in generazione, con tutte le piccole varianti che sono tipiche della “fantasia” di ogni professionista o di ogni “azdora” (l’azdora è l’antica massaia romagnola). A oggi, si calcola che non siano più di una cinquantina fra pasticceri e panificatori in grado di preparare la vera Pagnotta di San Martino e che ne preparino non più di duecento chilogrammi a ogni mese di novembre. La stessa Regione Emilia-Romagna, quando ne ha riconosciuta la tipicità, si è astenuta dall’indicarne la ricetta, proprio perché segreta. Se lo trovate, prendetene un filone prima di ridiscendere a valle, verso il mare.