Tutti quanti conoscono il maiale in porchetta. E’ un modo di cucinare quest’animale che ha attecchito in tutta l’Italia centrale e
ha una storia millenaria. Ne parlavano addirittura gli antichi romani, anche se il loro maiale in porchetta era molto ma molto diverso, nella farcitura, rispetto a quello moderno. Negli anni che vanno dal 430 al 439 Macrobio, uno scrittore romano, scrisse i “Saturnalia”, sette libri nei quali egli immagina dotte discussioni fra importanti personaggi dell’epoca su religione, letteratura, storia e tanto altro. Queste amabili dissertazioni si tengono a tavola (i Saturnalia erano festività che si celebravano dal 17 al 23 dicembre. Iniziavano con grandi banchetti ed era usanza scambiarsi dei piccoli doni detti “strenne”). Macrobio descrive anche alcune portate di questi pranzi. Una di queste è il “porcus troianus”, cioè un maiale cotto intero che nascondeva al suo interno altri animali arrosto chiusi nel suo ventre. Proprio come il cavallo di troia nascondeva guerrieri greci nell’Odissea. Scrive l’autore latino: “… Farcitura del maiale, composta da volatili, cacciagione e carni varie, che una volta in tavola mostrava il suo interno”. Credo possiamo considerare il porcus troianus un antenato molto più “ricco” dell’odierna porchetta di maiale.
Le misteriose origini del coniglio in porchetta
Ma il nostro coniglio in porchetta? Purtroppo non ha origini così nobili. Innanzitutto è una preparazione che ha attecchito solo nella
bassa Romagna (Cesenate e Riminese) e nelle Marche di Pesaro e Urbino. Pare essere una variazione piuttosto recente. Non ci sono, infatti, testimonianze dirette dell’esistenza del “coniglio in porchetta” prima della fine del Settecento quando, seguendo i dettami della cucina francese dell’epoca, anche in Italia i cuochi iniziarono a cucinare il coniglio che, fino a quel momento, era piuttosto considerato solo come animale dal quale ottenere della pelliccia.
E non possiamo neanche escludere che gli chef di quel periodo, in realtà, non facessero altro che riprendere una ricetta radicata nell’entroterra delle nostre vallate, cucinata dalle “azdore” delle nostre campagne. Insomma, il coniglio in porchetta potrebbe essere nato per soddisfare la gola dei mariti di ritorno dai campi, cucinando questa carne bianca povera e facilmente disponibile, alla maniera del maiale in porchetta. Utilizzando gli stessi odori e ingredienti. Del resto, le carni bianche erano molto presenti nella gastronomia della campagna romagnola. Qui di seguito vi forniamo la ricetta del coniglio in porchetta. Magari vi viene voglia di cimentarvi con questo piatto tipicamente romagnolo.
Coniglio in porchetta – ricetta per sei persone
Ingredienti
Un chilo e mezzo di coniglio spellato; tre pezzi di salsiccia; tre spicchi di aglio; 5/6 rametti di finocchio selvatico; una fetta di pancetta stesa; sale; pepe; mezzo bicchiere di olio extra vergine d’oliva; vino bianco secco q.b.
Preparazione
Pulite il coniglio togliendo la testa e le interiora ma lasciando il fegato. Lavatelo, asciugatelo e apritelo bene. Strofinate l’interno con 20 grammi di sale fino misto a pepe nero. Aggiungete la salsiccia, l’aglio tritato grossolanamente e la pancetta distribuendo il tutto per la lunghezza del coniglio. Chiudete e legate incorporando all’esterno il finocchio selvatico. Salate e pepate. Lasciate riposare per qualche ora. Dorate il coniglio in padella con l’olio di oliva e sfumate con il vino bianco. Cuocete nel forno caldo a 200 gradi per mezz’ora e finite di cuocerlo a 150 gradi per un’ora e mezza. Se è troppo asciutto, bagnatelo con del vino e del brodo. Servitelo accompagnato da patate arrosto ed erbette saltate.